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Nel corso dei secoli, l'uomo ha sempre guardato la morte come un qualcosa da respingere o negare. Il fatto stesso di vivere rende da sempre difficile immaginare una fine reale della vita. Non è un caso, ad esempio, che alcuni popoli credano nella reincarnazione dell'anima dopo la morte del corpo. Nella nostra cultura, poi, il tempo scandito da ritmi pesanti: lavoro, famiglia e varie attività, sembra far allontanare dalla mente il pensiero della morte.
Quando però si è toccati da un evento luttuoso si cerca una spiegazione attribuendosi colpe o trovando cause esterne maligne (ad esempio il medico che non ha curato bene), perché la morte non è solo assenza, fine, ma è collegata ad un atto cattivo, ad un avvenimento spaventoso che reclama vendetta e punizione.
Se si osservano alcuni riti funerari, infatti, ci si accorge che il loro scopo è quello proprio di diminuire l'ira degli dei o della gente, per non essere riusciti a salvare la persona cara. La tradizione delle "donne dei lamenti" in alcuni paesi dell'Italia meridionale ne è forse l'esempio: mogli, sorelle e madri dei defunti battono il petto, si strappano i capelli, rifiutano di mangiare, riconoscendo la vittoria del destino sull'uomo e chiedendo pietà per le proprie responsabilità nella morte del parente.
Può stupire che, accanto a questi sentimenti di vergogna e di tristezza, se ne possono manifestare altri di collera verso il defunto.